Introduzione prof. Luca Mari

Nel breve video del prof.Mari di introduzione al DiDiy si sottolinea come questo fenomeno sia nuovo ed abbia due caratteristiche originali: da un lato "mescola" l'informatica, il virtuale, alla materia, dall'altro crea una nuova figura il produttore/consumatore.

In effetti siamo abituati all'uso dell'informatica per trattare "informazioni", "immagini", idee, ma la diffusione di microcontrollori, sensori ed attuatori collega l'idea ad un oggetto. Il codice informatico produce effetti non solo simulati o modellizzati, ma materiali. L'uso di queste tecnologie riduce l'opposizione tra teoria e pratica, astratto e concreto e mostra come un oggetto tecnologico sia un mix di progetto e materia. Questo è interessante per un uso didattico. Da tempo viviamo l'idea, di origine pedagogica, di "pensare con le mani", di "imparare facendo", ma oggi questa idea è alla portata di tutti. Costruire un oggetto costringe ad acquisire informazioni, conoscenze teoriche, che trovano subito applicazione materiale. Il processo conoscitivo classico che va dall'aula al laboratorio è sovvertito e l'aula diviene laboratorio, con in aggiunta le ricche risorse del web come repertorio delle conoscenze necessarie. Un aspetto interessante è che il processo costringe ad applicare, anche inconsapevolmente, le fasi della scoperta scientifica.

Ancor più interessante il secondo aspetto. Siamo abituati a pensare al processo produtivo come l'incontro tra un produttore, che mette a disposizione merci che rispondono a bisogni, e un consumatore, che cerca sul mercato oggetti che rispondono ai suoi bisogni, ma l'introduzione di queste tecnologie a prezzi ridottissimi e di facilissimo uso, cambia la cosa, oggi ad un personale bisogno si può rispondere costruendo da se l'oggetto, personalizzandolo, adattandolo alle proprie esigenze. La figura del maker è molto più simile all'artigiano rinascimentale di quanto non lo sia al tecnologo novecentesco. L'impatto didattico può essere notevole a cominciare dal togliere l'alone "magico" di molti oggetti tecnologici usati comunemente che vengono visti nei loro meccanismi interni.

Le tecnologie usate non sono nuove, quello che è mutato è il costo, che si è ridotto moltissimo, diventando sostanzialmente quasi nullo, e la facilità d'uso. Arduino è un piccolo capolavoro di ingegneria collegando un microcontrollore programmabile a dei bus di comunicazione si è creato un aggeggio che permette di realizzare facilmente dei sistemi che interagiscano con l'ambiente, raccogliendo informazione e reagendo ai dati raccolti, facendo qualcosa a seconda delle condizioni ambientali.

E' ancora presto per affermare che siamo di fronte ad un'altra rivoluzione industriale o ad un mutamento del sistema produttivo, ma è indubbio che il fenomeno è interessante. Si tratta di non enfatizzare, come alcuni fanno, dicendo che possiamo costruirci tutto usando una stampante 3D, ma nemmeno di sottacere che si aprono possibilità inedite.

Una parte, non piccola, delle possibilità è costituita dalla condivisione delle esperienze. La pubblicazione di codice, modelli ed il permesso di replicarli liberamente ha reso possibile la rapida diffusione del fenomeno. La scelta di rendere disponibili le tecnologie con licenze open source e free permette il rapido accumularsi e diffondersi degli strumenti e delle applicazione e più persone si avvicinano al fenomeno  più le conoscenze crescono e le possibilità si espandono. Il modello condiviso è all'origine del successo, la scelta di Arduino e dei suoi creatori di fornire schemi e codici e permettere a chiunque voglia e sappia replicare il progetto di farlo ha  condotto al successo, nato come piccolo progetto didattico di un avanzato centro di formazione oggi è un arealtà multinazionale che raccoglie l'interesse di giganti come Intel. Ancora non sappiamo come si svilupperà il fenomeno, sono già nati problemi di brevetto, di marchio, di proprietà intellettuale, ma ormai credo il vaso sia aperto, si è visto che si può fare e cosa può fare. 

Scrive Rosario:

"Si tratta di non enfatizzare, come alcuni fanno, dicendo che possiamo costruirci tutto usando una stampante 3D, ma nemmeno di sottacere che si aprono possibilità inedite."

Noi di DiDIY la pensiamo allo stesso modo. In una delle prime presentazioni che abbiamo fatto dicevamo, fra le altre cose, che:

  • "una stampante 3D in ogni casa", come dicevano decenni fa per i PC, sarebbe una cosa inutile e dannosa (se non altro per l'ambiente, uno spreco enorme di materiali)
  • mentre un centro stampa 3D di quartiere (cioè un mondo in cui dire "scendo un attimo a farmi stampare in 3D un pezzo di ricambio del frigo" è comune come oggi lo è dire "scendo un attimo a farmi le fotocopie della carta d'identità, della tesi, delle ricette di nonna..") invece, sarebbe una rivoluzione vera, e molto più sostenibile

Rosario scrive:

"La figura del maker è molto più simile all'artigiano rinascimentale di quanto non lo sia al tecnologo novecentesco"

verissimo, e con un effetto non trascurabile. Nel momento in cui gli oggetti che usiamo non sono più "prodotti" nel senso normativo/legale/industriale" del termine, cioè qualcosa fabbricata in serie da UNA azienda di professionisti, con processi ben precisi, normati e sottoposti a controlli dall'inizio alla fine... a chi si fa causa se qualcosa si fa male? Cioè quando, per esempio, Tizio si iscrive a un fablab per fabbricarsi, con una stampante 3D autocostruita (=non certificata) un oggetto a partire da un progetto da un ignoto Caio, magari indiano, pubblicato su un server magari russo, e poi modificato in Italia da Tizio o Sempronio? Per saperne di più, c'è questo nostro report che siete incoraggiati a commentare http://www.didiy.eu/blogs/request-comments-report-dominant-legal-challen...